Kaspersky ha recentemente commissionato ad Educazione Digitale un sondaggio che ha coinvolto un campione di 1.833 bambini italiani, tra i 5 e i 10 anni. L’indagine, condotta tra maggio e ottobre 2021, aveva lo scopo di indagare le abitudini della generazione Alpha in merito all’uso dei dispositivi tecnologici e la loro consapevolezza circa i rischi nei quali potrebbero incorrere navigando in rete.
Tra i dati più allarmanti quello che riguarda il 40% dei piccoli intervistati che, pur avendo ricevuto consigli e istruzioni da familiari e insegnanti circa i pericoli della rete, condividerebbe senza problemi dati e informazioni personali come indirizzo di casa, scuola e lavoro dei familiari, ad amici virtuali mai incontrati prima.
Nonostante i bambini di questa età siano sicuramente molto bravi nell’uso di smartphone e tablet, spesso più dei loro genitori, dalla nostra indagine è emerso anche come in realtà non conoscano realmente le potenzialità di questi strumenti, né tantomeno dispongano di quella capacità critica che gli consentirebbe di valutare adeguatamente le conseguenze delle loro azioni online e di quelle degli altri.
Proprio per questo abbiamo voluto intervistare Laura Manfredi, una mamma ma anche un’ influencer e content creator di professione, che proprio per questo, è abituata ad interfacciarsi con il mondo digital ed anche con tutte le insidie che si possono celare dietro la rete, soprattutto nei confronti di bambini e ragazzi.
Mi presento: sono Laura Manfredi, mamma di due splendidi ragazzi di 9 e 16 anni e sono una content creator di professione.
Lavoro grazie al mio blog rocknmode.com e ai miei social dal 2010, ma su internet sono una “smanettona” da più di 20 anni, ovvero da quando mi sono trovata davanti il mio primo computer.
Eppure, tutte le mie conoscenze in questo campo non sono bastate quando i miei figli si sono interfacciati al mondo digitale, momento che temevo da sempre.
Inizialmente fu mia figlia: a 12 anni chiedeva un cellulare e io non ero d’accordo. Ero l’unica in famiglia a non esserlo, a dire il vero. Tutti mi dicevano “ma proprio tu…”, e il fatto era proprio questo: era proprio perché conoscevo così bene internet e i suoi rischi che non volevo darle quel telefono. Volevo proteggerla ancora per un po’, sapendo che quel momento sarebbe comunque arrivato a breve.
Il punto era che gran parte dei suoi compagni aveva già ricevuto in regalo uno smartphone, quindi la questione è subito diventata: “rimarrà esclusa?”.
Con il tempo mi sono arresa e le abbiamo regalato il cellulare. Le abbiamo spiegato quali sono i rischi a cui si è esposti quando si naviga online, seguendola man mano.
Abbiamo scelto di darle fiducia ma non è stato semplice, perché il mondo digitale è in continua evoluzione e in un baleno ho scoperto – mio malgrado – di non essere già più al passo nemmeno io, che online ci lavoro. Nuove app di cui non avevo mai sentito parlare sbucavano come funghi, di alcune non ricordo neanche il nome, ma c’era già Musical.ly (poi divenuto TikTok).
Nel frattempo, l’unico modo in cui il mio secondo figlio si interfacciava al digitale era Youtube: qui per me era stato molto più semplice controllare il tutto perché ciò che faceva era guardare i video dei suoi youtuber americani preferiti dalla smart tv del nostro soggiorno.
Ma poi ci siamo trovati tutti nella situazione di emergenza che ci ha portato al primo lockdown: le scuole chiuse, la dad, le piattaforme come Classroom e Zoom per seguire le lezioni.
Questa volta è stato diverso. I bambini sono stati costretti a interfacciarsi al mondo digitale e la scuola si è evoluta: ora i compiti li troviamo sulla piattaforma della scuola e non più sul diario; il materiale non viene dato più dagli insegnanti, ma dobbiamo scaricarlo da Classroom, i colloqui con i genitori si svolgono solo online e non più in presenza.
In tutto questo, i ragazzini hanno imparato che possono stare insieme anche restando ognuno a casa propria: è stata quasi immediata la richiesta di connettersi via Skype con gli amici e la cosa è andata avanti anche a fine lockdown.
Si collegano in videochiamata e giocano ai loro videogiochi da PC preferiti – come Minecraft – insieme.
Qui, però, sono presenti anche le chat per i vari giocatori connessi, e inevitabilmente i bambini si trovano a chattare con altre persone, presumibilmente bambini e ragazzi… ma non possiamo averne la certezza.
Ed è qui mi è scattato il campanello d’allarme perché, non vi illudete, anche se seguiremo le loro attività online, controllare tutto quello che fanno online non è realmente possibile.
Oltre a fare del nostro meglio per stargli accanto mentre navigano e monitorare quanto più possibile le loro attività online, ciò che possiamo e dobbiamo fare è dare l’esempio aiutandoli a sviluppare la capacità critica per valutare anche da soli le conseguenze delle loro azioni.
Il punto è che bisogna mettere bambini e ragazzi nella condizione di aiutarci a proteggerli.
L’unico modo possibile è la formazione, e la formazione deve arrivare dalla famiglia, ma anche e soprattutto dalla scuola perché, diciamoci la verità, non tutti i genitori sono al passo e alcuni ne sanno anche molto meno di loro figli.
Ed è proprio dalle scuole che Kaspersky ha deciso di partire per educare al digitale. Con il progetto Digital Security, dedicato ai bambini dal 5 ai 10 anni, Kaspersky ha coinvolto oltre 300 scuole primarie italiane con la collaborazione della piattaforma Educazione Digitale.
Kaspersky ha messo a disposizione degli insegnanti una guida didattica realizzata con un team di pedagogisti per offrire loro uno strumento con proposte laboratoriali per guidare i più piccoli alla conoscenza del web e dei pericoli della rete.
Nell’ambito di questo progetto Kaspersky ha realizzato anche un’indagine alla quale hanno partecipato 1.800 bimbi di oltre 300 scuole italiane che hanno aderito al progetto e dal quale sono emersi dei dati davvero preoccupanti.
Tra i dati più allarmanti quello che riguarda il 40% dei bambini che, pur avendo ricevuto consigli e istruzioni da familiari e insegnanti circa i pericoli della rete, condividerebbe senza problemi dati e informazioni personali come indirizzo di casa, scuola e lavoro dei familiari, ad amici virtuali mai incontrati prima.
Il rischio che possano incorrere in malintenzionati non è solo ipotetico: il 36% ha dichiarato di aver ricevuto online proposte di giochi o sfide pericolose da parte di sconosciuti.
Peggio ancora, a mio avviso, è che il 55% delle bambine e dei bambini italiani, tra i 5 e i 10 anni, possiede già un dispositivo personale e il 20% lo utilizza più di 2 ore al giorno ogni volta che ne ha voglia con la possibilità di connettersi alla rete.
L’età in cui entrano in contatto con uno smartphone si è abbassata.
Alla luce di questi dati, cosa possiamo fare noi genitori per aiutarli?
- Parlare con i nostri figli dei possibili rischi che si possono incontrare online e delle misure di sicurezza da adottare.
- Chiedere loro di non accettare le impostazioni di privacy da soli ma di chiedere il nostro aiuto dando il buon esempio: cerchiamo di leggere gli accordi sulla privacy per evitare di concedere autorizzazioni non necessarie e potenzialmente pericolose
- Installare le applicazioni di controllo parentale, spiegando loro quanto e perché sono importanti per navigare online
- Osservare i nostri figli mentre trascorrono il loro tempo online, facendo più attenzione a cosa guardano.