Un gruppo di ricercatori appartenenti a diverse università giapponesi ha recentemente pubblicato un interessante studio che parla di una forma completamente nuova di autenticazione biometrica: l’analisi del respiro. L’idea è simile a quella dei test alcolemici a cui devono a volte sottoporsi gli automobilisti come me e voi, e a cui si sottopongono regolarmente gli autisti professionisti e le persone che svolgono professioni pericolose.
Tuttavia, la somiglianza finisce qui. Il metodo analizzato nello studio in questione è molto più complicato. Prima di tutto, è necessario identificare non uno, ma diversi composti chimici presenti nell’alito. Inoltre, la procedura non deve solo stabilire la concentrazione di determinate sostanze, ma anche distinguere una persona dall’altra in base alla sua “impronta chimica del respiro”.
Ma… perché?
L’aspetto interessante dello studio realizzato da questi ricercatori universitari è che non si sono posti nessun obiettivo pratico, cioè lo fanno semplicemente perché volevano farlo.
In generale, l’analisi del respiro è considerata un’area di ricerca di punta: con l’aiuto dell’apprendimento automatico nel campo dell’elaborazione dei dati, sono stati fatti notevoli passi avanti in questo settore, ad esempio, nella diagnosi delle malattie respiratorie. Quindi, se i sistemi di analisi e gli algoritmi di apprendimento sono già disponibili, perché non studiare la possibilità di una autenticazione?
Come funziona l’autenticazione basata sugli odori?
In una prima fase, viene raccolta l’aria espirata dai soggetti in esame. In seguito, l’aria viene fatta passare attraverso un analizzatore a 16 canali (i ricercatori hanno provato a raccogliere i dati attraverso un numero inferiore di sensori, ma questo ha ridotto immediatamente l’efficacia del metodo).
Ogni canale rileva in maniera separata un determinato composto chimico presente nell’aria espirata analizzata. Il dispositivo di analisi registra non solo l’intensità del segnale proveniente dai sensori, ma anche il modo in cui tale intensità cambia nel tempo.
In questo processo, viene quindi raccolta una gran quantità di dati che vengono poi elaborati con l’aiuto di un algoritmo di apprendimento automatico. Dopo essere stato addestrato grazie ai dati emersi dai test, l’algoritmo è in grado di identificare una persona in base al suo respiro in modo abbastanza preciso.
Quanto è affidabile?
Gli scienziati giapponesi sono riusciti a identificare una persona in base al suo respiro con una precisione del 97%. Questo può essere considerato un successo? Non ci sono dati sufficienti in questo studio per rispondere completamente a questa domanda.
Possiamo comparare la performance complessiva con i dati di uno studio del 2016 che, tra le altre cose, ha analizzato le caratteristiche della valutazione dei sistemi biometrici. A prima vista, il metodo basato sul respiro è affidabile quanto i comuni scanner di impronte digitali, e supera addirittura le tecnologie di riconoscimento facciale anche se di poco.
Tuttavia, come sottolineato nel citato studio del 2016, è importante considerare il rapporto tra falsi negativi (mancato riconoscimento degli utenti registrati) e falsi positivi (autenticazione di utenti estranei). Ogni giorno si possono verificare casi di falsi negativi, ad esempio, quando i nostri smartphone non ci riconoscono, anche se non si tratta di un problema grave. I falsi positivi, invece, sono spiacevoli, quindi eliminarli è una priorità assoluta. Detto questo, lo studio non fornisce informazioni sufficientemente dettagliate su come l’autenticazione basata sugli odori si comporti al riguardo.
Come curiosità, i ricercatori del presente studio sul respiro hanno fatto riferimento anche a studi precedenti, compreso il loro, e hanno registrato i progressi compiuti, ad esempio, rispetto all’analisi chimica del sudore umano. (Sì, anche l’autenticazione basata sul sudore è stata oggetto di ricerca!).
Quanto è pratico?
I ricercatori hanno utilizzato costose apparecchiature di laboratorio che non possono essere collegate a un portatile, a un telefono o a un’automobile. Sebbene al giorno d’oggi sia possibile dotare un’auto di un dispositivo di blocco che impedisca mettere in moto la macchina in caso di rilevamento di alcol nell’aria, la tecnologia necessaria per l’autenticazione basata sul respiro è molto più sofisticata e costosa.
Inoltre, leggendo lo studio più in profondità, ci si imbatte in altre questioni che fanno pensare che non tutti potrebbero essere in grado di sbloccare lo smartphone con il respiro. Infatti, come già accennato, per aumentare la precisione, è stato misurato anche il tempo in base al quale alcuni composti chimici svaniscono, cosa che ha richiesto ben 40 minuti!
E questo non è tutto: ai soggetti del test non è stato permesso di mangiare durante le sei ore precedenti all’esperimento. Gli autori fanno notare che l’accuratezza dei risultati può essere influenzata da una cena recente, oltre che dai composti presenti nel fiato che accompagnano una serie di malattie. Sembra che un leggero sentore di alcol o semplicemente un raffreddore possano alterare il test.
In conclusione, per ora non sembra che questa tecnologia abbia una grande utilità pratica. Tuttavia, è chiaro che si tratta di un’area di ricerca interessante che potrebbe essere sviluppata ulteriormente in futuro, se non sotto forma di autenticazione “respira in questo tubo”, almeno, per esempio, nel campo medico per migliorare i sistemi di diagnosi.