Molto prima dell’avvento dei computer, i primi marinai (i vichinghi e i polinesiani) esploravano il mondo e facevano un sacco di scoperte. Come si orientavano in mare aperto?
Stabilire l’esatta posizione in mare non è un compito facile e senza le apparecchiature moderne diventa davvero molto difficile. Si sa che i sistemi di computer di bordo possono essere attaccati da virus. Ci sono stati casi, per esempio, di navi condotte alla deriva per settimane; questo è dovuto alla mancanza di esperti di sicurezza informatica a bordo che, se fossero stati presenti, avrebbero potuto risolvere il problema.
Come i primi marinai navigavano per mare
I polinesiani erano dei grandi navigatori. Centinaia di anni prima che Colombo salpasse per il suo viaggio attraverso l’Atlantico, i polinesiani attraversarono il Pacifico sulle loro canoe di legno, ricoprendo distanze pari a migliaia di miglia tra le isole del triangolo della Polinesia. Per orientarsi studiavano il sole, le stelle, la luna, i venti e le correnti; utilizzavano anche speciali mappe preparate a partire da bastoncini e conchiglie marine.
This is a rebbelib stick chart by the Marshallese to navigate the Pacific Ocean by canoe. https://t.co/6sQVUbYjBi pic.twitter.com/JSrWn0LIV8
— Future Mapping Co. (@Futuremaps) May 20, 2016
Anche i Vichinghi navigarono migliaia di miglia tra il Nord d’Europa, le Isole Britanniche, l’Islanda, la Groenlandia e persino l’America del Nord. I loro attenti calcoli e osservazioni li aiutarono nella navigazione: navigavano liberi, seguiti dalle balene, e con a bordo i corvi – gli uccelli ammaestrati cercavano per loro le terre più vicine.
Secondo i numerosi resoconti, i vichinghi deducevano la loro posizione nell’oceano con l’aiuto di tavole su cui si proiettava l’ombra del sole; grazie al sole e alle stelle, contavano i giorni trascorsi in mare e calcolavano la velocità approssimativa delle loro navi e la loro posizione. Addirittura c’è chi pensa che utilizzassero la pietra di sole (nota anche come eliolite o in inglese, sunstone) in grado di polarizzare la luce e così determinare l’azimut del sole in caso di maltempo, quando sia il sole che le stelle non erano visibili.
I vichinghi spesso arrivavano a conclusioni intuitive ma inesatte. Le loro saghe narrano viaggi afflitti dalla nebbia e dal maltempo. In tali condizioni, gli antichi marinai perdevano completamente l’orientamento.
La battaglia per scoprire come calcolare la longitudine
Per quanto ne sappiamo, il concetto di coordinate nacque per la prima volte nell’antica Grecia nel 200 a.C. . Claudio Tolomeo è stato il primo a parlare del concetto di latitudine e longitudine.
I marinai usavano le mappe della Terra e dei cieli per capire dove si trovavano. Comunque, non era facile ottenere le coordinate. Nonostante il sole, la luna e le stelle possano aiutare a determinare la latitudine e longitudine, era davvero dura.
La longitudine può essere calcolata attraverso la differenza tra l’ora locale e l’ora in un determinato punto di riferimento misurato nello stesso momento. La precisione era fondamentale: all’equatore un grado di refrazione è uguale a 68 miglia. Il tempo a bordo può essere calcolato con l’uso del sole e delle stelle, ma gli orologi non erano sufficientemente accurati a quei tempi, e così le persone non potevano determinare il tempo nel porto d’origine o presso il primo meridiano, quello di Greenwich.
Imparare a stabilire la longitudine è stata una delle principali priorità per molti anni. Luigi XVI di Borbone dichiarò in una occasione che i suoi astronomi gli avessero fatto perdere più terre che eserciti.
Nel XVI e XVIII, Spagna, Olanda, Portogallo, Venezia e Inghilterra (le principali potenze navali del momento) erano disposte a dare una grande ricompensa a chiunque inventasse un metodo pratico e semplice per determinare l’esatta longitudine di una nave in mare. Il governo britannico offriva una piccola fortuna (circa 20.000 sterline, l’equivalente a 3,8 milioni di dollari odierni). Fu John Harrison a vincere il premio e a inventare il cronometro marino il cui uso iniziò a diffondersi a partire dal 1760.
Precedentemente, nel 1757, si assistette all’invenzione del sestante (vari scienziati, tra cui Newton, John Hadley e Thomas Godfrey, lavorarono a questo strumento di navigazione allo stesso tempo). Insieme, questi due apparecchi risolvettero l’enigma del calcolo della longitudine.
Come funzionavano? A mezzanotte, un navigatore misurava l’angolo tra l’orizzonte e il sole con l’aiuto del sestante e lo comparava con l’ora del meridiano di Greenwich, mostrato da un cronometro. Le navi potevano ora sapere la loro longitudine, in che misura la nave girava a Est o a Ovest rispetto al primo meridiano.
Cosa si usa oggi?
Oggigiorno, la maggior parte delle navi fa affidamento su di un sistema di visualizzazione delle carte nautiche elettroniche e di informazione per la navigazione interna (in inglese, ECDIS) e sul GPS.
Per determinare l’esatta localizzazione, il GPS usa una rete composta da più 30 satelliti. Inizialmente questo sistema era stato sviluppato per uso militare, ma oggi quasi tutti, dai turisti, ai piloti di barche e aerei, lo usano con grande facilità.
Oltre al GPS, le navi sono passate ad un sistema di visualizzazione delle carte nautiche totalmente elettronico, un cambiamento che ha permesso ai navigatori di impiegare solo pochi minuti (piuttosto che ore) nell’eseguire le operazioni di base, come il calcolo e la correzione della rotta. Di conseguenza, gli ufficiali possono dedicare più tempo a osservare e analizzare altri fattori: il tempo atmosferico, la velocità della nave e altre importanti variabili. Navigare è più sicuro, un dato importante per i proprietari delle navi, per i clienti preoccupati delle loro merci e per le compagnie assicurative che stabiliscono i parametri delle polizze.
Ships black boxes are vulnerable to hackers – https://t.co/H5gXrF4zO7 #security #nautical pic.twitter.com/6nVHPhNv9R
— Kaspersky (@kaspersky) January 12, 2016
Come nell’aviazione, i sistemi marittimi ECDIS devono essere duplicati. Se su di una nave non si volessero utilizzare le carte di navigazione fisiche, allora si renderebbe necessario l’uso di due dispositivi ECDIS che separino i database e i display.
In caso si compia la Legge di Murphy
Anche i sistemi ECDIS posso sbagliarsi, risultato di un errore di programmazione o di un attacco mirato. I sistemi dei computer possono anche smettere di funzionare se non si installano patch e update. Di fatto, i ricercatori trovano regolarmente vulnerabilità nelle tecnologie principali usate sulle navi come ECDIS, GPS e AIS (Automatic Identification System) marittimi. Nonostante i problemi vengono risolti dalle patch, continuano ad apparire nuovi bug.
I guasti e malfunzionamenti del sistema di navigazione non sono molto pericolosi se ci si trova vicino alla costa: l’aiuto è vicino, i segnali per orientarsi sono visibili, e sia Internet che le connessioni mobili in genere funzionano. Se i marinai osservano un problema presso un sito insicuro, possono mettersi in contatto con la persona designata a terra e richiedere una mappa navale in formato PDF con i banchi di pesci, le correnti e i luoghi pericolosi.
Maritime industry is easy meat for cyber criminals – http://t.co/arylkFBOTc pic.twitter.com/v6QKzcjJXM
— Kaspersky (@kaspersky) May 22, 2015
Anche il GPS è imperfetto. Le radiazioni elettromagnetiche del sole possono avere seri effetti sulle operazioni satellitari. A parte questo, i criminali (come i pirati ed i terroristi) possono bloccare il segnale usando un semplice ed economico jammer GPS (un disturbatore di frequenze), facilmente acquistabile.
Un sistema GPS compromesso può portar fuori rotta una nave dando l’impressione che si stia andando nella giusta direzione. Nel migliore dei casi può comportare solo dei ritardi nella tabella di marcia; nel peggiore, una disastrosa collisione. Per evitare queste situazioni, la marina statunitense insegna ai suoi ufficiali a navigare usando il sole e le stelle.
L’interruzione delle connessioni o il blocco del segnale GPS in mare aperto è probabilmente la più ovvia e grande minaccia che potrebbe spingere i moderni ufficiali della marina a rispolverare le loro conoscenze sull’astronavigazione. Naturalmente, i marinai ricorrono anche ad altri metodi, meno ufficiali, per sapere la loro posizione: per esempio, in caso di problemi, possono scaricare le coordinate GPS dai loro smartphone. In effetti, lo fanno quando vogliono sapere la posizione della nave, ma non vogliono lasciare la cabina. Un’imbarcazione moderna, con un motore e un generatore elettrico mantenuti in buone condizioni, è difficile che si perda in mare aperto.
Tuttavia, senza il sistema di navigazione elettronico è davvero dura. Un incidente che risale a due anni fa illustra brillantemente i passi da gigante che abbiamo fatto in quanto a navigazione e spedizioni negli ultimi secoli. Nel 2014, un maratoneta esperto ha cercato di raggiungere le Bermuda dalla Florida su di una bolla galleggiante, anche chiamata hydropod in inglese (si tratta di un’imbarcazione che assomiglia alla ruota di un criceto, si muove quando la persona al suo interno corre). Era al sicuro, la sua barca galleggiante a forma di bolla non poteva affondare, ma non ha affatto tenuto in considerazione la navigazione. Reza Baluchi si è perso poco dopo essersi allontanato dalla costa della Florida. Ha fermato una nave che stava passando da lì e ha chiesto le indicazioni per arrivare alle Bermuda.
Non è polinesiano… ma potrebbe tranquillamente esserlo 😉